1. Il quesito

Nella maggior parte dei conflitti, la fine delle ostilità avviene con una resa formale e una chiara cessazione del fuoco. Tuttavia, in Italia, dopo il 25 aprile 1945, non vi fu un atto ufficiale di resa della Repubblica Sociale Italiana, e quello delle truppe tedesche in Italia avvenne qualche giorno dopo. Come contestualizzare quindi gli episodi di violenza dei giorni successivi alla “Liberazione”? Esistono documenti o accordi ufficiali che sancirono la fine del conflitto interno tra partigiani e forze fasciste? Le tregue locali tra partigiani e tedeschi avevano una validità giuridica? E, nel caso specifico di un supposto omicidio perpetrato da Novelli nei confronti di Concari il 6 maggio 1945, si deve parlare di un eventuale crimine di guerra, di un reato “civile” o di un atto ancora legato al conflitto?

2. La cessazione delle ostilità nelle guerre regolari

In un conflitto convenzionale, la fine delle ostilità è sancita da atti ufficiali tra le parti belligeranti. La Prima e la Seconda Guerra Mondiale forniscono esempi chiari:

  • 11 novembre 1918: l’armistizio di Compiègne segna la fine delle operazioni belliche tra la Germania e le potenze alleate nella Prima Guerra Mondiale.
  • 8 maggio 1945: la Germania firma la resa incondizionata con gli Alleati occidentali e l’URSS, segnando la fine ufficiale delle ostilità in Europa.
  • 2 settembre 1945: il Giappone si arrende formalmente agli Stati Uniti, ponendo fine alla Seconda Guerra Mondiale.

In questi casi, le ostilità cessano a una data e ora specifica, e qualsiasi azione militare successiva è considerata una violazione del diritto internazionale, oltre che di conseguenze di reazione immediata da parte di uno dei belligeranti, specie da parte del prevalente rispetto al soccombente.

3. Il caso italiano: tra guerra civile e assenza di una resa formale

L’Italia rappresenta un’anomalia rispetto ai modelli sopra citati. Dopo l’8 settembre 1943, il paese si trova diviso tra il Regno del Sud, alleato con gli Angloamericani, e la Repubblica Sociale Italiana (RSI), allestita e sostenuta dai tedeschi. Questo scenario impedisce una resa unitaria e chiara come avvenne per la Germania. Avvenne infatti che:

  • Per quanto riguarda le loro truppe dislocate in Italia, i tedeschi firmarono la resa il 29 aprile 1945 a Caserta, con effetto dal 2 maggio 1945.
  • Per la RSI non ci fu alcuna resa ufficiale. Mussolini fu catturato e fucilato il 28 aprile 1945 senza alcun atto formale di cessazione delle ostilità.
  • Per la città di Milano, il 25 aprile 1945: il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) ordinò l’insurrezione generale contro i nazifascisti, che segnò l’inizio del collasso della RSI.

A differenza della Germania, dove la resa fu firmata dal governo militare residuo, in Italia i gerarchi fascisti si dispersero o furono catturati. La resa dei tedeschi fu un atto separato compiuto autonomamente e non coprì i reparti della RSI, molti dei quali continuarono a combattere o a fuggire.

  1. Il problema giuridico: quando cessarono le ostilità in Italia?

L’assenza di un atto formale di resa della RSI lascia aperta la questione giuridica sulla fine delle ostilità, tenendo conto che:

  • Il 25 aprile non fu una resa, ma l’inizio dell’insurrezione generale, che si completò nei giorni successivi e in date diverse a seconda delle diverse città.
  • Il 29 aprile, con la resa tedesca di Caserta, le operazioni militari terminarono ufficialmente il 2 maggio.
  • Le ultime sacche di resistenza fascista continuarono a combattere isolatamente anche dopo il 2 maggio.
  • I partigiani continuarono a colpire fascisti e collaborazionisti anche nei giorni seguenti, spesso in esecuzioni sommarie.

L’elemento centrale della questione giuridica è: se un atto violento avvenuto dopo il 2 maggio 1945 debba essere considerato un crimine di guerra, un atto di giustizia sommaria, o una continuazione del conflitto civile.

5. Tregue, rese locali e permessi di allontanamento tra partigiani e tedeschi

Numerosi episodi documentano tregue o accordi locali tra reparti partigiani e truppe tedesche in ritirata. Alcuni esempi significativi sono:

  • Resa negoziata dei tedeschi a Torino (29 aprile 1945), dove il comando tedesco preferì trattare la consegna della città ai partigiani per evitare una battaglia urbana.
  • Resa tedesca a Genova (25 aprile 1945), dove il generale Meinhold negoziò la ritirata delle truppe per evitare distruzioni e spargimenti di sangue.
  • Accordi informali in altre località (es. in alcune aree alpine), dove reparti tedeschi si consegnarono ai partigiani in cambio di un passaggio sicuro verso la Germania.

Dal punto di vista giuridico-militare, tali rese locali non avevano un valore assoluto in termini di cessazione delle ostilità, ma fungevano da accordi tattici di capitolazione. Secondo il Diritto militare internazionale, una resa ufficiale prevede un atto firmato tra i comandanti delle forze belligeranti, ma le rese locali potevano essere riconosciute se vi erano rappresentanti con potere negoziale; mentre nel Diritto civile tali accordi non eliminavano la responsabilità individuale per crimini di guerra commessi precedentemente.

Molti comandi tedeschi agirono autonomamente, trattando con i partigiani locali, mentre in altri casi vi fu resistenza fino all’ultimo. Alcuni ufficiali della RSI cercarono di negoziare salvezza personale, ma la mancanza di un’autorità centrale riconosciuta rese il tutto frammentario.

6. Il caso di Milano

Per quanto riguarda Milano, a differenza di Torino e Genova, dove le autorità militari tedesche trattarono una resa ufficiale con i partigiani, a Milano la situazione fu più caotica e frammentata. Gli elementi chiave sono i seguenti:

  • L’insurrezione del 25 aprile: Il CLN Alta Italia proclamò l’insurrezione generale e ordinò l’attacco ai presidi nazifascisti. Tuttavia, i tedeschi presenti in città (soprattutto forze della Wehrmacht) avevano già iniziato una progressiva evacuazione verso nord, cercando di evitare lo scontro diretto con i partigiani.
  • Il ruolo di Wolff e le trattative parallele: Il generale Karl Wolff, comandante delle SS e della polizia in Italia, già da settimane trattava segretamente con gli Alleati per una resa separata, con lo scopo di evitare una battaglia distruttiva nelle città del nord Italia. Questo contribuì a un ritiro relativamente rapido delle truppe tedesche da Milano senza una resistenza accanita.
  • La fuga delle forze tedesche: Mentre i reparti della Wehrmacht si ritiravano, le SS e le unità più compromesse (come alcuni collaborazionisti italiani) tentarono di fuggire o si scontrarono con le formazioni partigiane. La resa tedesca a Milano non avvenne con un atto formale come a Genova, ma piuttosto attraverso un’evacuazione progressiva e una dissoluzione della presenza nazista nella città.
  • Le esecuzioni dei fascisti: A differenza dei tedeschi, i membri della RSI e delle Brigate Nere, colti in fuga o nascosti, furono spesso catturati e giustiziati sommariamente dai partigiani o da folle inferocite. Il caso più noto è quello di Benito Mussolini e dei suoi gerarchi, catturati il 27 aprile a Dongo e fucilati il 28 aprile.

In sostanza, a Milano, non ci fu quindi una resa organizzata delle truppe tedesche: la Wehrmacht si ritirò rapidamente grazie alle trattative già in corso con gli Alleati, mentre le forze della RSI rimasero in balia dell’insurrezione partigiana e della vendetta popolare. In sintesi:

  1. Il 25 aprile non segna la fine formale della guerra, ma l’inizio del crollo del fronte nazifascista.
  2. La resa tedesca del 29 aprile, effettiva dal 2 maggio, stabilisce la cessazione ufficiale delle operazioni belliche.
  3. Non ci fu una resa della RSI: i suoi leader fuggirono, vennero catturati o giustiziati.
  4. Le tregue locali tra tedeschi e partigiani furono episodi tattici, non atti formali di resa.
  5. I fatti di sangue avvenuti dopo il 2 maggio si collocano in una zona grigia tra guerra civile e giustizia sommaria.

6. La collocazione della supposta uccisione di Concari nell’ambito giuridico e storico descritto

Se Concari fu ucciso da Novelli il 6 maggio 1945, il contesto giuridico in cui collocare l’evento è complesso e privo di una definizione netta. Analizziamo i possibili scenari:

  • Continuazione del conflitto: Se Concari faceva ancora parte di un’unità combattente o era coinvolto in azioni militari attive, la sua uccisione potrebbe rientrare in un’operazione bellica ancora in corso. Sebbene la resa tedesca fosse già stata firmata (29 aprile, con effetto dal 2 maggio), molte formazioni fasciste non avevano cessato le ostilità. Il 6 maggio si colloca in una zona temporalmente molto vicina alla chiusura ufficiale delle operazioni.
  • Giustizia sommaria o esecuzione politica: Se invece Concari era già un prigioniero o un civile disarmato al momento della sua morte, l’evento si inserisce in quella fase di giustizia sommaria che ha caratterizzato la transizione tra guerra e dopoguerra. L’assenza di una chiara struttura giudiziaria per processare i crimini della RSI portò spesso a esecuzioni extragiudiziali da parte di formazioni partigiane o gruppi di ex combattenti.
  • Nessuna violazione formale di una tregua: In assenza di una resa ufficiale della RSI o di un trattato di pace chiaro tra le fazioni in conflitto, gli episodi violenti successivi al 2 maggio non possono essere considerati violazioni di un armistizio formale. Tuttavia, dal punto di vista della giustizia militare internazionale, eventuali esecuzioni extragiudiziali avvenute dopo il crollo del fronte possono essere valutate come atti di giustizia politica o vendetta privata.

L’uccisione di Concari, quindi, si posiziona nel delicato confine tra guerra civile, vendetta politica e vuoto giuridico. Senza un riconoscimento ufficiale della cessazione delle ostilità da parte della RSI, ogni episodio successivo alla resa tedesca rimane giuridicamente ambiguo e politicamente interpretabile: come detto nel libro, nell’elenco dei caduti della RSI gestito da un’associazione alle cui gesta si ispira, Alceo Concari è contrassegnato come “assassinato” e non come “caduto”. Nessuno, dall’altra parte, lo indicò, del resto, come “giustiziato”, evidentemente per paura delle conseguenze che si annunciavano e che forse trovarono applicazione proprio a scapito di Renzo Novelli. Eppure, in quei giorni, Mussolini e molti gerarchi e personaggi compromessi, furono pubblicamente appellati come “giustiziati”. Forse la differenza sta nel tipo e nel grado delle violenze commesse, o nella notorietà dei personaggi e dei loro atti? Violenze, soprusi, uccisioni, spedizioni nei campi di sterminio non sono imputabili a personaggi non di primo piano? Naturalmente il discorso è qui di carattere generale e non applicabile nella fattispecie ad Alceo Concari, delle cui eventuali malefatte solo Novelli poteva essere a conoscenza: per questo caso, e per migliaia di altri, com’è noto, in quella fase di transizione non ci fu sufficiente giustizia formale a confortare le vittime delle violenze fasciste, lasciando così aperto lo spazio ad una giustizia, sommaria ma sostanziale, autogestita. Nemmeno Piazzale Loreto, con la sua macabra e simbolica rappresentazione, poté fermarla.